«Se apriamo i Vangeli, chi ha ricevuto l’annuncio pasquale, e le prime a evangelizzare, sono state le donne. Ridiamo alle donne quello che Cristo ha voluto, e che gli scrittori dei Vangeli hanno loro riconosciuto. Che anche le donne possano annunciare il Vangelo, non solo commentarlo, tradurlo e insegnarlo nelle università. Quindi le donne prendano la parola, la prendano con tutti i laici. Predicando certo su mandato del vescovo, se hanno competenza. Ma non viviamo questa contraddizione, per cui è lecito insegnare, è lecito scrivere, ma non è lecito prendere la parola nell’assemblea liturgica».Questa la sollecitazione di Enzo Bianchi durante il suo intervento alla presentazione dei Vangeli al femminile a Milano il 7 marzo. Vi riproponiamo il suo discorso. Potete trovare il video integrale dell'evento qui.
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di Annalisa Guida
Che cosa significasse, prima del vangelo di Marco, raccogliere la sfida di “annunciare Gesù Cristo morto e risorto” possiamo solo immaginarlo. Nei testi cristiani antecedenti il primo vangelo scritto (alcune lettere paoline e pochi testi pervenutici indirettamente che oggi annoveriamo tra gli apocrifi del NT) abbiamo a mala pena brevissime notizie biografiche del Nazareno, prevalentemente legate agli eventi della passione, e tutt’al più alcune “parole del Signore” registrate indipendentemente. Eppure la tradizione cristiana senza vangeli non è nemmeno immaginabile; non solo non lo è nei suoi aspetti kerigmatici e di contenuto, ma non lo è nella sua storia degli effetti, nella cultura, nella letteratura, figurarsi nella storia dell’arte. C’erano altri modi di annunciare Gesù? C’erano altre vie nella predicazione e nella catechesi per portare ai confini del mondo la buona notizia? In fondo, possiamo solo supporre di sì, ma lo facciamo quasi in absentia, perché sappiamo che la forma “vangelo” ha sbaragliato qualsiasi concorrente e si è man mano identificata come il lieto annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. Ebbene, questa grande intuizione, l’“invenzione” del genere letterario che chiamiamo “vangelo” la dobbiamo a Marco. Marco (questo il nome autoriale che la tradizione, da Papia a Ireneo fino a Origene, ci consegna) ha scelto di annunciare Gesù raccontando Gesù, raccontandone cioè la vita, le esperienze, gli incontri, i gesti; le parole, l’accoglienza, l’incomprensione; le difficoltà, la morte, la risurrezione. Questa mise en recit, questa messa in racconto dell’esperienza straordinaria di Gesù Cristo Figlio di Dio ha appassionato, scandalizzato, convinto, messo in crisi i suoi destinatari (che possiamo immaginare sia come ascoltatori sia come lettori) e ha funzionato non solo come supporto per la predicazione, ma come vera e propria esperienza formativa e strategia mistagogica: Marco ha provato a farci entrare nel mistero grande del regno di Dio e della persona singolare e irripetibile di Gesù di Nazaret facendoci percorrere, insieme con lui, le strade dalla Galilea a Gerusalemme, in un apprendistato discepolare condiviso con folle di uomini, donne, bambini, emarginati, potenti. Certamente non era l’unico modo possibile, certamente non custodiva l’unico volto di Gesù che la primitiva comunità cristiana aveva imparato ad amare, tant’è che più di un credente, dopo di lui ma a partire da lui, ha rimesso mano alla storia (cf Lc 1,1-4) cercando di evidenziarne aspetti diversi o vicende omesse o di offrirne una nuova chiave di lettura. Ma Marco è stato il punto di partenza, la sfida ermeneutica, il termine di confronto, anche l’interlocutore scomodo. La tradizione cristiana non ha sempre apprezzato il carattere un po’ brusco, asciutto e paradossale di questo racconto, considerandolo per secoli la (brutta) copia ridotta del più completo e solenne Matteo. Ma, come non è stato così all’origine, quando il vangelo di Marco ha probabilmente attraversato buona parte dell’impero romano, così non è avvenuto nel passato recente. Questo racconto ha intrigato molto la sensibilità moderna, forse proprio per i suoi tratti di ricercata paradossalità, di voluta incompletezza, di ostentata enigmaticità che possono, ovviamente, essere bollati come scandalo e stoltezza piuttosto che come sapienza e potenza di Dio (cf 1Cor 1,20b-25). Lo “scandalo della croce” (per continuare a utilizzare un lessico paolino cui la cristologia di Marco sembra ispirarsi tanto da vicino) è diventato racconto di uno scandalo più grande, anticipato in una parabola non compresa, in un pane non diviso, in una paura non vinta. La fede capace di smuovere le montagne e di vincere un cuore sclerotizzato comincia (e ricomincia) lungo la riva di un mare, all’inizio di una giornata che non sarà come le altre, quando accanto all’umana immobilità passa il dinamismo creatore di Dio I Vangeli Àncora, frutto del lungo lavoro durato anni, sono arrivati in libreria giovedì 26 febbraio. Qualche giorno prima, il 18 febbraio, durante l’udienza del mercoledì la prima copia del volume era stata donata a Papa Francesco, che così commentava: «Ho sentito la notizia: questa è una cosa importante. Non è femminismo… perché le donne hanno un modo di leggere… Un talento naturale dato da Dio… ».
Il 7 marzo a Milano la prima presentazione ufficiale dell’opera, con la partecipazione di Enzo Bianchi: «Un’opera di cui c’era urgenza: con questi Vangeli commentati davvero le donne prendono la Parola nella Chiesa», delineando delle prospettive limpide sulla necessità di abbandonare la retorica del genio femminile pur nell’inevitabile differenza e peculiarità dell’interpretazione femminile (e laica) a fronte di una storia interpretativa maschile (e prevalentemente clericale). Domenica 8 marzo, giornata dedicata alle donne, con un articolo in prima pagina che apre il domenicale del Sole 24 Ore, “Profumo di donna nei Vangeli”, il Card. Gianfranco Ravasi sottolineava la «freschezza, lievità, efficacia che varcano i confini del linguaggio stereotipato di stampo ecclesiastico». Nonostante siano passati meno di tre mesi, i Vangeli sono già arrivati oggi alla prima ristampa, un traguardo che conferma il valore dell’opera e del progetto portato avanti da Àncora insieme alle bibliste Rosanna Virgili, Annalisa Guida, Rosalba Manes e Marida Nicolaci. Un risultato che mostra la strada fatta nell’ambito degli studi teologici italiani, ma anche il lungo cammino ancora da percorrere affinché «le donne si sentano non ospiti ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale» (Papa Francesco). In virtù del loro genio femminile, le teologhe possono rilevare, per il beneficio di tutti, certi aspetti inesplorati dell’insondabile mistero di Cristo. (Papa Francesco) 8 marzo 2015, festa della donna: nascono ufficialmente i vangeli Àncora, con la traduzione e il commento realizzati – per la prima volta in Italia – da quattro giovani bibliste, secondo i criteri più aggiornati della scienza esegetica, con uno sguardo femminile. Qual è il senso di tale decisione? In linea teorica poco dovrebbe incidere il genere femminile o maschile di uno studioso, ai fini della realizzazione di una buona traduzione dei vangeli, ma nella realtà concreta questa opzione è assai significativa. Essa mette in luce, innanzitutto, la presenza ormai affermata e qualificata delle donne nella conoscenza e la competenza della Bibbia, nonché nella docenza e la ricerca delle Scienze ad essa consacrate, fenomeno piuttosto recente e ancora sconosciuto ai più. La materia teologica e, conseguentemente, quella biblica, sono state per secoli, nella Chiesa cattolica, appannaggio del clero e, quindi, del genere maschile, pertanto difficilmente accessibili, quando non addirittura precluse, alle donne in generale. Con il Concilio Vaticano II la restituzione della Bibbia al popolo di Dio ha contemplato anche i religiosi e i laici e, quindi, le donne, permettendo loro di accostarsi agli studi esegetici, e più in generale agli studi teologici, negli istituti di formazione accademica, come le università pontificie e le facoltà teologiche. Finalmente la donne “prendono la Parola” nella Chiesa. Tale novità ha avuto e continua ad avere la forza di una rivoluzione, destinata a generare cambiamenti radicali nella Chiesa cattolica e, auspicabilmente, anche nelle società dove essa vive. Queste le caratteristiche tecniche: • formato: cm 12×19 • confezione: cartonata • pagine: 1700 • prezzo: € 55,00 • isbn 978-88-514-1456-6
I Vangeli tradotti da quattro bibliste Per la prima volta in Italia appare un’opera completa di traduzione e commento ai quattro vangeli realizzata da giovani donne bibliste. Qual è il senso di tale decisione? In linea teorica poco dovrebbe incidere il genere femminile o maschile di uno studioso, ai fini della realizzazione di una buona traduzione dei vangeli, ma nella realtà concreta questa opzione è assai significativa. Essa mette in luce, innanzitutto, la presenza ormai affermata e qualificata delle donne nella conoscenza e la competenza della Bibbia, nonché nella docenza e la ricerca delle Scienze ad essa consacrate, fenomeno piuttosto recente e ancora sconosciuto ai più. La materia teologica e, conseguentemente, quella biblica, sono state per secoli, nella Chiesa cattolica, appannaggio del clero e, quindi, del genere maschile, pertanto difficilmente accessibili, quando non addirittura precluse, alle donne in generale. Con il Concilio Vaticano II la restituzione della Bibbia al popolo di Dio ha contemplato anche i religiosi e i laici e, quindi, le donne, permettendo loro di accostarsi agli studi esegetici, e più in generale agli studi teologici, negli istituti di formazione accademica, come le università pontificie e le facoltà teologiche. Finalmente la donne “prendono la Parola” nella Chiesa. Tale novità ha avuto e continua ad avere la forza di una rivoluzione, destinata a generare cambiamenti radicali nella Chiesa cattolica e, auspicabilmente, anche nelle società dove essa vive. La parte delle donne L’entrata in scena delle donne nel mondo degli studi biblici comincia a far vedere i suoi primi frutti. A una passione di rara intensità che esse generalmente mostrano per la Scrittura, si unisce il rigore scientifico custodito da un impegno diligente e tenace, quale la vastità degli studi stessi prevede e chiede. A tutto ciò le donne aggiungono una capacità di intuizione speciale nella comprensione e l’impatto con la profonda e complessa esperienza umana e spirituale che la Bibbia contiene e con l’espressione letteraria con cui essa si consegna. Trattandosi di una scrittura sapienziale, la Bibbia si presenta, infatti, particolarmente consona all’intelligenza femminile che è fatta di buon senso, intelletto, capacità di discernimento e saggia decisione. Non sarà un caso che, proprio nella Bibbia – fatto altresì condiviso dalle culture dell’intero bacino del Mediterraneo – la donna sia simbolo della Sapienza, quella “fanciulla” che era accanto a Dio mentre creava il mondo (cf Pr 8,22ss.) e da cui ogni inesperto sulla terra prende consiglio per avere la vita (cf Pr 9,1-6). La presenza straordinariamente decisiva delle donne nella storia biblica – da Eva a Maria, passando per Agar, Rachele, Giuditta, Ester, Elisabetta, Lidia, la diacona Febe, e molte altre – ci fa interrogare sul come mai, nella storia della Chiesa, la Parola biblica sia stata negata alle menti e alla bocca delle donne. Non finiremo di chiederci perché mai le donne non abbiano potuto continuare a dare il loro insostituibile contributo alla comprensione, riflessione, interpretazione, traduzione e trasmissione di tale Parola lungo il corso dei secoli. Le caratteristiche di quest’opera Sullo sfondo di quanto già detto a proposito delle donne bibliste, quest’opera sfrutta la loro originalità a partire dal linguaggio in cui è scritta, sia nella parte della traduzione, sia in quella del commento. Riguardo la traduzione si evidenzia una resa del sottostante testo originario greco in una lingua italiana corrente e comprensibile a tutti, evocativa di esperienze che il lettore può spontaneamente confrontare con le proprie, ma anche attenta a rendere con massima fedeltà, competenza e arte la ricchezza del linguaggio evangelico, dalle sue arcate narrative alle pieghe più sottili delle sue antiche parole. Riguardo il commento, poi, lo stile è fluido, la scrittura semplice e chiara, espressione di una sensibilità profonda verso i contenuti che passano attraverso un’analisi filologica e formale, redazionale e simbolica, consapevole e accurata, pregnante di notizie storiche, oltre che di letture teologiche e di un vasto panorama di interpretazioni sapienziali e spirituali. E come un filo rosso che unisce l’intera opera esegetica, appare manifesta l’intenzione di far emergere la bellezza della narrazione evangelica, la sua organicità letteraria e la forza del messaggio della fede cristiana che si impone a ogni passo, rivelandosi nella sua pienezza, nell’insieme del testo sincronico. In questo intento le traduttrici riescono a dare piena evidenza della diversità delle quattro testimonianze della fede cristiana delle origini, contenute nei quattro vangeli canonici. Una diversità che si illumina con la diversità: quella dei redattori/teologi (i quattro evangelisti) mediata da quella delle quattro traduttrici, ciascuna ricca di una sua particolare nota di perspicacia, intelligenza, conoscenza, riflessione ed esperienza professionale e umana. In virtù di tutto ciò, quanto giungerà al lettore sarà un’autentica “testimonianza evangelica”, simile a quella in cui furono generati, appunto, i vangeli stessi. Scrittura di periferia Sull’onda dell’adagio di papa Francesco: «Occorre che la Chiesa esca verso le periferie», quest’opera può essere interpretata, innanzitutto, proprio come un atto di “uscita”. I suoi destinatari sono, infatti, certamente i cristiani, cattolici e delle altre confessioni, ma anche i diversi credenti che abitano le nostre società: ebrei, musulmani, buddhisti, induisti e di altre fedi; così come i non credenti, gli agnostici, gli atei o chi non si ponesse alcuna domanda neppure sul senso religioso. Dando per scontati i diversi livelli di interesse e, per così dire, di uso, che ciascuno ne possa fare, come dovrebbe succedere per ogni traduzione dei vangeli, quest’opera vuole aprire una finestra su quella periferia stupenda che è lo spaccato del Vangelo stesso. Periferia che parla alle periferie, Galilea delle genti restituita alle genti. Linguaggio popolare che torna afarsi interprete del linguaggio popolare, cioè capace di farsi comprendere da ciascuno «nella lingua nativa» (At 2,6). Questo impatto vuole essere promosso da una terza “periferia”: quella delle donne nella Chiesa, ma anche e ancora, in moltissimi casi, nella società civile; quella delle tante donne laiche che lavorano e impiegano un autentico ministero al servizio della Comunità umana, civile ed ecclesiale, non sempre adeguatamente riconosciuto e non senza un oneroso carico di difficoltà e di resistenze; ma anche quella delle donne consacrate – religiose o laiche – che per secoli sono state escluse da qualsiasi forma di approccio allo studio della Bibbia e destinate esclusivamente ai servizi materiali nella Chiesa. Da questo intreccio di periferie le autrici si augurano che possa venire una nuova beatissima lux sui vangeli. Una dedica La dedica dell’opera va ancora alla periferia: quella dei poveri, quella degli ultimi, dei lontani, dei deboli, degli esclusi, quella degli oppressi dalle schiavitù di ogni genere. Quella degli abbandonati e dei mercanteggiati, quella di chi è solo al mondo. Il Vangelo dei vangeli è l’annuncio di una consolazione, di una bella notizia: quella dell’Amore che sfida e vince ogni male; quella della Libertà che disperde i malvagi tentativi di oppressione dell’essere umano sull’essere umano; quella della Solidarietà e della Comunione che si inchina a raccogliere, uno per uno, i frammenti esistenziali e morali, i brandelli di carne e di spirito, nel desiderio di congiungerli e articolarli – già e non ancora – in un unico splendido Corpo Risorto. 8 marzo 2015 Rosanna Virgili |
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Settembre 2017
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